17° Piolets d’or, anteprima

Dal 22 al 25 aprile tra Chamonix e Courmayeur si terrà la 17a edizione del Piolet d’or, il premio alpinistico forse più famoso, tanto da essere definito l’Oscar dell’alpinismo.

Dunque… si riparte. Come molti ricorderanno l’anno scorso il Piolet d’or aveva subito uno stop. Una pausa – diciamo di “ripensamento” – dovuta sicuramente a problemi organizzativi ma anche, come è stato scritto da più parti, diretta conseguenza delle dichiarazioni molto critiche del fortissimo sloveno Marko Prezelj, vincitore nel 2007 con Boris Lorencic del 16° Piolet d’Or per la prima salita del pilastro ovest del Chomolari (7326 mt – Tibet).

In sostanza Prezelj, titolare peraltro anche del Piolet 1991, aveva dichiarato di non credere nei premi alpinistici e di aver partecipato per poter esprimere questa sua opinione. Nulla di nuovo sotto il sole in realtà. Basti pensare che nel corso degli anni c’erano stati alpinisti (come Rolando Garibotti nel 2006 per esempio) che, ringraziando, semplicemente non avevano accettato la candidatura. Per non parlare di premi che nulla hanno a che fare con l’alpinismo e che forse sono ben più prestigiosi, come i Nobel per la letteratura rifiutati ad esempio da Boris Pasternak e da Jean-Paul Sartre… Comunque sia, dopo questo episodio si è cercato di definire meglio lo spirito del Piolet. Ma come già detto nel 2008 il tentativo degli organizzatori, Montagnes magazine e GHM, di stilare una “Carta del Piolet” condivisa da tutti non è poi andato a buon fine.

Ora eccoci qui a questa ripartenza che prende il via da una nuova “Charter prevailing over the awarding of the Piolets d’or ascents of the year”, messa a punto dalla nuova organizzazione composta dal GHM Groupe de Haute Montagne, dalla Nivéales publishing, dalla rivista Montagnes Magazine e dalla new entry, rivista Vertical, che come tutti sanno fa parte anch’essa, come la prima, dello stesso Gruppo Nivéales. Il tutto con il sostegno dell’American Alpine Journal.

Il documento come ci ha sintetizzato Christian Trommsdorff – presidente del GHM nonché alpinista nominato al Piolet d’or 2006 e membro della Giuria nell’ultimo Piolet – “E’ molto più chiaro e diretto in confronto al passato e fa prevalere lo stile rispetto ai risultati”. In pratica afferma Trommsdorff: “Il Piolets d’Or non vuole essere una competizione, ma una celebrazione della classe mondiale dell’alpinismo. Lo scopo è quello di riconoscere e promuovere i valori attuali dell’arte dell’Alpinismo attraverso un evento internazionale che riunisca i rappresentanti degli alpinisti di tutti gli orizzonti”. Va detto che sono evidentemente tutti principi condivisibili anche se per la verità non sembrano così differenti dallo spirito “antico” del Piolet. Il pregio naturalmente è che ora sono stati scritti.

Ma oltre alla “Charter” c’è un’altra novità senz’altro più curiosa, quella del nome. Molti forse se ne saranno accorti: il Premio ha subito una piccola ma forse rilevante modifica al plurale, passando da Piolet a Piolets. Forse che si assegneranno premi diversi? Magari ci saranno delle categorie diverse? E se sì quali? Sempre Trommsdorff ci ha spiegato che “non ci saranno diverse categorie ma ciò potrebbe essere preso in considerazione in futuro, se l’organizzazione avrà più mezzi finanziari”.

Invece, continua il presidente del GHM: “La giuria assegnerà il Piolet ad una salita, o se lo riterrà destinerà più Piolets a più salite significative. Inoltre sarà anche assegnato, ancora una volta con uno spirito non competitivo, un Piolet d’Or alla carriera come riconoscimento per un’attività molto significativa nella storia dell’alpinismo”. Insomma, sembra di capire che forse ci saranno degli ex aequo, cosa che alle volte, anche se raramente, succede in tutti i Premi. La considerazione che si può fare è che se ciò è stato fatto per evitare polemiche comunque qualcuno dovrà essere premiato e qualcuno escluso. Ovvero la coperta resta sempre corta… e allora forse declinare al plurale il nome serve solo per fare confusione e togliere quell’unicità (come in tutti i premi non assoluta) che aveva il Premio in passato.

In ogni caso ci ha detto Trommsdorff: “La GHM, Montagnes e Vertical, con il sostegno dell’American Alpine Journal, garantiranno la completezza, l’onestà intellettuale e l’integrità del lavoro della giuria, ma non ne faranno parte. Inoltre in giuria non ci sarà nessun membro francese né italiano”. Questo evidentemente per l’altra novità che vede la Francia, con Chamonix, e l’Italia, con Coumayeur, come sedi di questa 17a edizione.

A proposito della Giuria, va detto che i giurati sono davvero di grande spessore. A cominciare dal presidente, il britannico Doug Scott: un vero mito dell’alpinismo mondiale. Per continuare con lo statunitense Jim Donini, ex presidente dell’American Alpine Club e alpinista di gran valore con all’attivo molte salite in Patagonia e in Himalaya (come la cresta nord del Latok I con Jeff Lowe). Di assoluto valore, poi, è senz’altro l’austriaco Peter Habeler, uno degli himalaysti più forti di tutti i tempi e autore, tra l’altro, della prima salita dell’Everest senza ossigeno insieme a Reinhold Messner. Della Giuria inoltre fanno parte il giornalista coreano Im Duck Yong, “inventore” dell’Asian Piolets d’Or e alla sua terza esperienza nella Giuria del Piolet, e il giornalista spagnolo Dario Rodriguez co-editore della notissima rivista Desnivel

Un discorso a parte invece merita un altro membro della Giuria, Dodo Kopold. L’alpinista slovacco, infatti, proprio in quest’ultimo mese è stato al centro di una polemica che definire spiacevole è assolutamente riduttivo. Tanto che oltre a comparire su alcuni siti web specializzati, tra cui explorers.com, ha necessitato anche di un comunicato stampa della Slovak Mountaineering Association in cui si imputa a Kopold non solo di aver mentito a riguardo delle salite del GI e GII e Broad Peak ma soprattutto di essersi macchiato dell’ “abbandono” dei propri compagni e in particolare di Vlado Plulik, poi scomparso sul Broad Peak. Ora, senza entrare nel merito della vicenda e salvaguardando il diritto di Kopold di confutare queste pesantissime accuse, a noi la sua scelta come giurato sembra perlomeno non opportuna, anzi sbagliata proprio per quei valori etici e morali dichiarati dalla “carta del Piolet”… Con una facile battuta si potrebbe dire che queste cose credevamo succedessero solo nel mondo politico italiano.

Resta da dire dell’ultima novità di questo 17° Piolet, ovvero della sua volontà, come ci spiega sempre il presidente del GHM “di essere una festa, con conferenze, incontri, dibattiti, film e altre attività”. Del programma se ne saprà di più nelle prossime settimane. Intanto non resta che attendere il 24 aprile, quando a Courmayeur verranno presentate le candidature riferite alle salite del 2008 e al premio alla carriera. Mentre il 25, a Chamonix, verrà consegnato il Piolet o, ancora non si sa, i Piolets d’oro. Detto che dispiace, anzi che ci sembra non proprio “indovinato” che le date della manifestazione coincidano proprio con quelle del TrentoFilmfestival ma anche, e soprattutto, con il periodo in cui molti alpinisti sono in spedizione: Bonne chances “non competitive” a tutti.

Piolet d’or tutti i vincitori e le salite
2007 Slovenians Marko Prezelj and Boris Lorencic, for the first ascent of Chomolhari’s northwest pillar
2006 Steve House and Vince Anderson for the first rapid alpine-style ascent of the Rupal Face of Nanga Parbat
2005 Russian team led by Alexander Odintsov for the first direct ascent of the North Face of Jannu
2004 Valery Babanov and Yuri Koshelenko for an ascent on the South Face of Nuptse
2003 Mick Fowler and Paul Ramsden for a new route on the North Face of Siguniang (6250m) in China
2002 Valery Babanov for a solo climb of Meru Central
2000/2001 Thomas Huber and Iwan Wolf for the first ascent of the direct north pillar of Shivling (6543m)
1999 Lionel Daudet and Sébastien Foissac for the ascent of the Southeast Face of the Burkett Needle
1998 Andrew Lindblade of Australia and Athol Whimp of New Zealand for the first direct ascent of the North Face of Thalay Sagar
1997 Russian team from Ekaterinburg led by Sergey Efimov for the first ascent of the West Face of Makalu
1996 Slovenians Tomaz Humar and Vanja Furlan for a new route on the East Face of Ama Dablam
1995 Andreas Orgler, Heli Neswabba and Arthur Wutsher Germany for numerous new routes in the Ruth Glacier area of the Alaska Range and especially a new route on the South Face of Mount Bradley
1994 Francois Marsigny of France and Andy Parkin of England for the new ice and rock route up the Esperance Col on Cerro Torre
1993 The youth high altitude expedition of French Alpine Club (median age 20 years) for ascents in the Pamir Mountains
1992 Michel Piola and Vincent Sprungli for the ascent of the East Face of Torre South del Paine in Patagonia (the name of the route is “Dans l’Oeil du Cyclone”)
1991 Slovenians Andrej Stremfelj and Marko Prezelj for a 3000m ascent of the South Pillar of Kanchenjunga’s South Summit, 8476m, in the Himalaya

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Riccardo Scarian libera due vie nuove in Val Noana

A fine aprile in Val Noana (Dolomiti di Primiero), Riccardo Scarian ha liberato Shantaram 8c e Hatù per tu 8b+

Risalgono a pochi giorni fa le libere di Riccardo Scarian su due nuove vie, Hatù per tu 8b+ e la variante Shantaram 8c, in Val Noana, nel cuore del Primiero. Entrambe le vie sono boulderose e questo è un dettaglio importante visto che Scarian si sta preparando ad un compito non proprio facile: verso fine giugno sarà capo tracciatore della tappa di Eindhoven della Coppa del Mondo Boulder 2010. Intanto ecco il suo report che spiega perchè il Primiero non è soltanto il posto dell’arte di scalare in placca.

Shantaram 8c, ovvero Primiero: non solo placche!
"Il 21 aprile scorso vengo a capo di una nuova via in Val Noana, chiodata dall’ “evergreen” e ormai un po’ Primierotto Stefano Ghidini, amante del bouldering e delle falesie con avvicinamenti non oltre i cinque minuti… Stefano intravede una linea snobbata dai locals che attraversa un tetto quasi orizzontale di ben cinque metri, una linea dai movimenti estremamente belli, di forza ma allo stesso tempo di sensazione, come sovente lo sono i boulder, e che battezzerà “Hatù per tu”.

L’estate scorsa Stefano prova la via, forse con non troppa convinzione, assieme a lui c’è anche Juri Gadenz che un po’ più convinto e assiduo alla fine arriva vicino alla prima salita. Dopo un mese passato ad incastrarmi nelle fessure dello Yosemite, mi unisco al gruppo, ma ahimé il massimale non è alle stelle e mi devo accontentare di venire a capo solo dei movimenti della via.

Quest’anno dopo un inverno di poca arrampicata… ma di parecchio lavoro a secco la riprovo e dopo pochissimi tentativi mi trovo a giocarmi la prima salita. Stefano non fa il geloso, anzi è ben contento se qualcuno riesce a compierne la prima salita… basta ripagarlo con una buona cenetta a base di pesce

21 aprile: arriva per me la prima salita di “Hatù per tu”… il grado credo sia 8b+. Nel frattempo intravedo la possibilità di una variante più diretta che incrementerebbe ulteriormente le difficoltà. In accordo con Stefano, chiodo la variante e nasce cosi “Shantaram”, che riesco a salire il 29 aprile."
Sky

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Cerro Torre, David Lama e Daniel Steuerer in partenza

Intervista a David Lama, in partenza assieme a Daniel Steuerer per una spedizione al Cerro Torre in Patagonia. I due austriaci hanno un obbiettivo di grandissimo rilievo: tentare la prima libera della famosa Via del Compressore.

Cosa c’entra David Lama, il pluri-premiato campione del arrampicata sportiva, con il Cerro Torre? Questa era la domanda che ci siamo posti pochi giorni fa quando abbiamo saputo della sua imminente partenza per la Patagonia. A dire il vero negli ultimi anni il campione europeo boulder e Difficoltà ci ha sorpreso in varie occasioni ‘fuori campo’, con difficilissime vie di più tiri nelle Alpi e spedizioni in Yosemite, Cile e, quest’estate, persino in Kyrgyzstan. In questi anni il suo percorso dalla plastica verso le pareti si sta delineando sempre più netto e, a pensarci bene, non c’è da stupirsi quindi che la prossima avventura non sia una sfida di primissima categoria. Bella, affascinate, difficile… Lama, assieme al suo grande amico Daniel Steuerer, investirà tre mesi per tentare la salita in libera della Via del compressore al Cerro Torre. Né la montagna né la via hanno bisogno di introduzioni, tanto meno il famigerato tempo patagonico. Bastì soltanto dire che è una sfida di altissimo livello, che non è mai riuscita a nessuno e in cui David e Daniel ci dovranno mettere di tutto e di più.

Ciao David, fra poco incontrerai il Cerro Torre… come ti senti prima della partenza?
Le ultime settimane sono state abbastanza stressanti. Ho viaggiato molto tra gare di arrampicata, gli ultimi incontri per la spedizione al Torre e altri impegni. Adesso finalmente tutto è pianificato, il materiale è già pronto e inviato, e non vedo l’ora che tutto abbia inizio. Anche se quello che mi aspetta lì, mi preoccupa molto.

Raccontaci con chi condividerai questo progetto e come vi è venuto in mente?
Il mio partner si chiama Daniel Steuerer. In passato era uno dei miei più grandi avversari nella Coppa Europa. Un infortunio al gomito l’ha costretto ad abbandonare il circuito agonistico, ma non ha intaccato il suo amore per l’arrampicata – si è dato alle vie alpine. Con il nostro viaggio nello Yosemite Valley nel 2006 è riuscito a farmi amare il terreno “alpino” e da quel momento abbiamo condiviso varie avventure assieme. In particolare l’inverno scorso abbiamo arrampicato molto assieme e abbiamo anche sviluppato ulteriormente l’idea del progetto al Cerro Torre, che in origine ci era stato suggerito da Hansjörg Auer.

Cosa sperate di fare?
L’obiettivo della spedizione è la prima libera della via del compressore al Cerro Torre. Tenteremo di salire lungo lo spigolo Sudest, per la via del compressore appunto. Ci sembra la linea più logica per una libera, anche se i tiri chiave ci aspettano proprio verso la cima, sulla Headwall.

Tra tutte come mai avete scelto proprio il Cerro Torre e la via del Compressore? Siamo sicuri che conosci bene la storia di questa montagna e questa via…
Vista da fuori, la nostra spedizione potrebbe ruotare soltanto attorno alla salita in libera. Io invece vedo la nostra avventura come una cosa grande e completa. Ciò a cui tengo sono tutte le esperienze e le impressioni che mi aspettano e la storia della montagna e della via ne fanno parte. Il Cerro Torre e la sua controversa prima salita sono un mito, nel mondo del alpinismo probabilmente non esiste una cosa simile. Alcuni alpinisti di rilievo hanno già tentato di salire la via del Compressore al Cerro Torre in libera, ma fino ad ora nessuno è riuscito a fare una libera completa. Questo mi affascina molto, senza contare che molti alpinisti considerano il Cerro Torre la montagna più difficile al mondo.

Cosa ti aspetti dalla Patagonia? E dal Torre in particolare?
L’anno scorso con una piccola spedizione sono stato sul lato nordovest della Patagonia, nel Cochamó. Il paesaggio è molto diverso da quello che ci aspetta nella regione del Torre, ma ci sono alcune cose in comune… Il tempo è il fattore decisivo: le tempeste sono il problema principale per gli arrampicatori in Patagonia e per una libera del Torre abbiamo bisogno almeno di due giorni consecutivi di bel tempo. Durante il primo giorno le scariche di ghiaccio tendono ad essere l’aspetto più pericoloso, nel secondo giorno potremmo osare un tentativo…

Noi ti conosciamo soprattutto come atleta (e campione) della gare di arrampicata… Sappiamo però che negli ultimi anni i tuoi orizzonti verticali si sono allargati: hai all’attivo diverse difficili multi-pitch nelle Alpi, una spedizione in Cile e quest’estate ti sei venturato nel Kyrgyzstan. Significa, che stai diventando un alpinista? O semplicemente che cerchi di abbinare l’alpinismo all’essere atleta? Se si, come è possibile?
Parallelamente alle mie gare sono sempre stato un appassionato ell’arrampicat su roccia. Arrampicare solo sulla plastica non mi è mai passato per la testa. Negli ultimi anni mi sono interessato sempre di più per il terreno alpino. Attualmente ci sono molte persone che fanno l’8c, quasi ogni settimana viene ripetuto un 9a. Ma il numero di persone che riescono a distanziarsi molto dall’ultima protezione, a 1000m da terra e superando difficoltà di 8a, è abbastanza piccolo.
Per quanto riguarda invece la combinazione spedizione e gare ho purtroppo dovuto constatare che sono due mondi completamente diversi, che si sposano difficilmente. Le spedizioni richiedono tantissime energie, che poi vengono a mancarti per le gare. Ma a me piacciono tutte le diverse forme di gioco di arrampicata. Negli anni futuri mi dedicherò ancora alle competizioni, poi però mi troverete sicuramente sempre di più su terreno alpino piuttosto che nelle sale di arrampicata.

Cosa giocherà il ruolo più importante in Patagonia e sul Torre?
Il meteo è il fattore principale. A parte questo, il lavoro di squadra tra me e Daniel sarà sicuramente decisivo. Staremo assieme per tre mesi. E’ un lasso di tempo insolito, nella quale la tensione è già quasi programmata – anche se Daniel è uno dei miei miglior amici!

Andrai in Patagonia con un fotografo, girerai anche un film. Sappiamo però che non volevi troppa pubblicità dei media prima di questa partenza. Grazie per questa intervista quindi. Ma non è che adesso c’è ancora più pressione?
Così tanti fattori sono legati a questa impresa che né Daniel né io riusciamo a controllarli tutti. Quello che però era importante per noi era essere completamente indipendenti dal resto del team per seguire il nostro obiettivo. Sia il fotografo sia il cineoperatore hanno esperienza di montagna, ciò nonostante verranno supportati da altre due guide alpine. Per quello che concerne me e Daniel, il nostro obiettivo è chiaro e lo vogliamo raggiungere – qualsiasi pressione viene quindi da noi stessi.

Prima di augurati in bocca al lupo: cosa speri da questa avventura?
So che raccoglierò molte nuove esperienze. Non tutti hanno la possibilità di fare cose di questo tipo e vedo il tutto come un’enorme chance.

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Gecco Lavico, cascata di ghiaccio nel Vallone di Piantonetto

Il 7/01/2010 Marco Appino e Renzo Vottero hanno effettuato la probabile prima salita di Gecco Lavico (330m, IV/4+/M) cascata di ghiaccio nel Vallone di Piantonetto (Valle dell’Orco).

Il vallone del Piantonetto deve la sua fama non certo al ghiaccio ma sopratutto alle belle pareti di roccia del Becco di Valsoera, del becco della Tribolazione piuttosto che a quelle del Monte Nero. Naturalmente di cascate di ghiaccio nelle pieghe di questo vallone a picco sulla valle dell’Orco ce ne sono e negli anni, “cacciatori di ghiaccio” del calibro di Perona o Grassi hanno con attenzione scandagliato i vari canali e anfratti del luogo per cogliere il momento migliore per mettere a segno una nuova salita in un posto un po’ al di fuori del solito.
Negli ultimi anni, ad esclusione in pimis di Maurizio Mattioda, in pochi hanno abbandonato le tracce delle valli più conosciute per addentrarsi in questi luoghi e magari tornare con le pive nel sacco. In pochi hanno barattato la certezza di una salita a Cogne piuttosto che in val Varaita con il sottile piacere dato dall’attesa e dall’incertezza.
Click Here: mochila fjallravenPochi ma per fortuna non tutti e, a condizione che nessuno ne reclami la prima salita, sembra che Marco Appino ed il suo amico Renzo Vottero siano riusciti a mettere a segno una salita che alcuni monitoravano da tempo e che, per sviluppo e bellezza, è certamente la più interessante della valle. Anche se occorre rimarcare che la colata è soggetta ad un forte rischio di valanghe.
>>> Scheda GECCO LAVICO

Arrampicata invernale in Scozia – il punto di vista di Ines Papert

Dopo il sua primo viaggio arrampicata in Scozia, la fuoriclasse tedesca Ines Papert condivide le sue idee sull’arrampicata invernale in Gran Bretagna e non solo.


Pochi giorni fa abbiamo pubblicato la notizia del primo ice climbing trip scozzese di Ines Papert , che le ha fruttato una serie di difficili ripetizioni – per la cronaca: la salita più difficile mai effettuata da una donna nel Regno Unito, e la prima salita di una breve via chiamata Little Nipper (VI, 8), assieme al forte climber inglese Ian Parnell. La Papert certamente non ha bisogno di grandi introduzioni, le sue credenziali sul ghiaccio sono davvero impressionanti – M13 rotpunkt sulle vie di drytooling, quattro volte Campionessa del Mondo di arrampicata su ghiaccio, e un’attività che nel tempo si è sempre più spostata verso le grandi pareti – ciò nonostante il viaggio si è rivelato, come spesso accade, un’occasione stimolante per aprirsi e scoprire le grandi potenzialità dell’arrampicata su ghiaccio senza spit. Per questo pubblichiamo il suo breve report su quest’esperienza, seguito da una piccola intervista curata da Ian Parnell su quello che la Papert ha descritto come "uno dei miei migliori viaggi di arrampicata in assoluto!"

IL “TRAD” SU MISTO È IL FUTURO! di Ines Papert

"Siete fortunati, la vie in Scozia sono in condizioni perfette ." Così il top alpinista britannico Ian Parnell ci ha accolti in Gran Bretagna. Insieme ai Canadesi Audrey Gariepy e Mat Audibert ho toccato con mano perché in inverno non ci sono enormi code alla base delle vie scozzesi: gli avvicinamenti lunghi, il repentino cambiamento delle condizioni atmosferiche e la difficoltà di proteggere gli itinerari con attrezzatura “trad” rende l’arrampicata ancora una vera avventura.

Le vie di misto protette da spit spesso si riducono ad una serie di movimenti acrobatichi, e su vie di grado M13 la forma fisica dello scalatore gioca un ruolo importante. Visto che le piccozze offrono un buon grip, le vie possono soltanto diventare più difficile se diventina più lunghe e più ripide e, proprio come nell’arrampicata sportiva, cadere sugli spit è all’ordine del giorno. Le cose sono molto diverse in Scozia e questo viaggio mi ha regalato un barlume di speranza… Per anni nel arco alpino sono state salite nuove vie, ma molte di queste mancano di un reale livello di impegno alpino. Cosa sta succedendo con la nostra etica?

Sono sicura che possiamo imparare molto dagli inglesi. Gli alpinisti scozzesi avevano raggiunto il V grado su misto già nel 1950 (1959 Route su Creag Meagaidh) e Dave MacLeod, che rappresenta il presente, ha dimostrato al mondo che si possono salire vie molto difficili di misto utilizzando soltanto protezioni trad. In Scozia gli spit non sono mai stati utilizzati e non lo sono tuttora, e anche i chiodi sono visti con disapprovazione. Il che significa che tutti gli arrampicatori riportato a casa i nuts e friends e non ci sono punti attrezzati per le discese in corda doppia visto che si scende faticosamente lungo l’altro versante della montagna. Non c’è da stupirsi che questo stile di arrampicata sia considerato alquanto poco moderno. Ma non sono le avventure, le sfide che ci piacciono? E se siamo onesti con noi stessi, non è l’esplorare i nostri limiti psicologici quello che stiamo cercando?

Personalmente ho raggiunto il mio limite psicologico con il grado scozzese VIII. Per esempio su "Unicorn", una via da sogno alta 130m che sale un diedro enorme a Glen Coe, e che viene gradata VIII, 8. E anche su "Blood, Sweat and Frozen Tears" sul Ben Eich, valutata come uno delle vie più difficili, VIII, 8. Dopo aver salito queste due vie Ian mi hanno detto che nessuna donna aveva mai salito un grado più difficile di VI, 6. Ora so davvero che cosa significhi l’ VIII. Uno strato spesso di neve rende la protezione delle fessure con Camelots molto più difficile, e soltanto nuts, peckers e exentrics offrono l’agognato livello di sicurezza per queste fessure altrimenti così perfette. Una lotta difficile, uno offwidth seguito da un’uscita su una placca liscia (usando soltanto la monopunta del mio rampone) rappresenta il passaggio chiave – scivolare da qui si tradurrebbe in una caduta fino a terra da 12m. Nervi saldi. Ora capisco pienamente perché abbiamo scelto di salire vie molto più facili di quelle che saliamo normalmente.


INES PAPERT, INTERVISTA DI IAN PARNELL

Innanzitutto perché hai deciso di venire in Scozia?
Ogni volta che Audrey ed io ci incontriamo in Colorado per la festa dell’arrampicata su ghiaccio ad Ouray abbiamo una serie di idee di cosa fare insieme, e l’idea della Scozia ci sembrava quella più pazzesca! Dopo aver fatto il pieno delle gare di ghiaccio per 6 anni, ho iniziato ad annoiarmi di quello che io definisco lo "stile scimmia", cioè il salire vie molto difficili a spit. Da quando sono andata al Cirque of the Unclimbables in Canda, mi piace molto l’arrampicata trad, ma non avevo mai fatto vie trad difficili in inverno. Mi piacciono nuove avventure e sto cercando di trasferire il mio livello di arrampicata in montagna – per esempio con delle prime salite in Himalaya. Adesso, dopo il mio viaggio in Scozia, sono certa che questo è il futuro. Niente spit! Mi sembra che l’arrampicata qui sia un terreno ideale per allenarsi per le vie più lunghe e non sorprende che gli scozzesi siano molto bravi sulla difficile scalata tecnica in Himalaya.

Quali erano le tue aspettative, prima di venire?
Lunghi voli fino a terra, ossa rotte e la vendita di tutta la mia attrezzatura! Sto scherzando. Ad essere onesti, ho avuto alcuni sogni folli prima di venire, ma ero anche molto curiosa e ho sempre approcciato le vie con grande stima e rispetto. Scalo tutto l’anno e sto cercando di eccellere in tutti i tipi di arrampicata – tranne l’arrampicata senza corda… Così questo mi mancava ancora nella mia esperienza da alpinista. Mi aspettavo di dover attendere a lungo il tempo migliore e, nel caso in cui le condizioni fossero davvero brutte, mi è stato detto di portare le scarpette per fare boulder indoor. La mia ipotesi prima di partire è stata… se la Scozia è in buone condizioni, faremo un sacco di arrampicata su ghiaccio… ma mi sbagliavo, abbiamo fatto un sacco di scalata invernale! Non c’era molto ghiaccio… e ho usato poco le mie 14 viti da ghiaccio!

Rispetto a quello che avevi immaginato, è andata meglio o peggio?
Diverso, ma generalmente meglio! E ringrazio te, Ian, per avermi ricordato di non portare il trapano – ad essere onesta ho pensato che, se avvessi dovuto salire una nuova via, avrei avuto bisogno di spit per le soste… Con il senno di poi posso dire che questo sarebbe stato superfluo e anche uno stupido errore.

Come hai trovato la nostra arrampicata, con il ghiaccio che si impasta sulla parete e le protezioni trad?
Ghiaccio? Non ce n’era molto! Ma la scalata in generale è stata molto interessante, non puoi mai fare uno Yaniro perché qui ci si arrampica con molta attenzione e molto lentamente. Ci vuole un po’ per trovare dove e come piazzare le protezioni veloci, spesso mi sentivo come una lumaca, scusami! Per certi versi mi ha ricordato la scalata in Nepal, quando abbiamo fatto la nostra nuova via sul Kwangde Shar: granito perfetto e buone condizioni di neve e ghiaccio, ma il ghiaccio non è mai stato abbastanza buono da consentire buone protezioni.
Ho capito che il trad climbing in inverno è il futuro del misto di alto livello. L’arrampicata invernale in Scozia è un gradino sopra a tutta l’arrampicata su ghiaccio che io abbia mai fatto in passato. La scalata è molto più interessante e varia… e più difficile! Non mi ha sorpreso salire vie al mio limite che, se fai un semplice paragone dei gradi, sono un bel po’ più facile di quello che sono abituata a scalare. La mia via di misto più difficile è M13, e ho salito nuove vie fino all’ M12 (in ambiente alpino e senza spit), Ma la Scozia è diversa, non è possibile muoversi velocemente. Non è possibile salire M13 in fretta. Mi sentivo tranquilla e allo stesso tempo era una reale sfida salire vie cinque gradi più facili.

Cosa preferisci della Scozia?
Il whisky! E non è una diceria, gli alpinisti scozzesi portano sempre una buona bottiglia per un viaggio e Simon ha condiviso con me uno dei migliori whisky che io abbia mai assaggiato. Un’altra cosa che mi piace è l’alba: di solito mi alzo più tardi, non come in Scozia, alla quattro di mattina. Roba da pazzi, ma necessario.

E la cosa peggiore?
L’alzarsi presto seguito dalla due ore di avvicinamento. Dopo una settimana di arrampicata questo si fa sentire, i piedi e la schiena ti fanno male ma non vuoi perdere un giorno di arrampicata. E anche il peso dello zaino. L’attrezzatura è pesante ma necessaria e non lascerei un unico pezzo a casa. Ma questo fa parte dell’avventura e, ad essere onesti … stiamo diventando pigri con tutta questa arrampicata sportiva a spit.

Ti vedremo di nuovo qui al nord?
Sì, spero di tornare l’anno prossimo. Nel frattempo mi auguro però che la gente cambi la sua percezione dell’arrampicata in Scozia. Sì, non ci sono spit, ma ciò che è importante è come si mettono le protezioni e il modo in cui si affrontano le vie psicologicamente.

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Scialpinismo in Carnia

Quattro itinerari in Carnia, dove lo scialpinismo trova tutte le sue sfumature, a cura della guida alpina Massimo Candolini.

In Carnia lo scialpinismo trova tutte le sue sfumature: il territorio spazia dalle guglie delle Dolomiti d’Oltrepiave ai solari pendii del Monte Coglians, alle forcelle dimenticate come la Forca dell’Alpino. Sono luoghi che racchiudono il fascino della storia che ha caratterizzato questa terra, la storia della gente, la storia dello scialpinismo, di canalini incastonati come gemme preziose tra pareti di puro calcare e dell’inverno, come quello delle esagerate nevicate del 2009, dalla coltre bianca che copre tutto, ridisegnando con i suoi nuovi cristalli ogni pendio.

Un gruppo di amici scialpinisti, nonché istruttori della Scuola di Alpinismo e Scialpinismo “Cirillo Floreanini“ di Tolmezzo, hanno deciso di raccogliere e concretizzare quell’idea che già da qualche tempo vagava nei loro pensieri: far conoscere lo scialpinismo nella terra della Carnia.

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Arrampicare a Pescopennataro, Molise

La piccola, bella e facile falesia a Pescopennataro in Molise.

A Pescopennataro, uno dei comuni più belli e suggestivi dell’alto Molise situato a 1200m e incastonato fra splendide pareti di calcare si trova una palestra di roccia prevalentemete composta da monotiri con gradi che partono dal 4 fino ad arrivare al 7a.

La falesia risulta un autentico paradiso in grado di soddisfare le esigenze dei climbers più sofisticati ma anche coloro che prediligono gradi più abbordabili.

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K2: Kaltenbrunner, Pivtstov, Zumayev e Zaluski rientrati al Campo Base

La notizia non potrebbe essere migliore: dopo la cima del K2, Gerlinde Kaltenbrunner, Vasiliy Pivtstov, Maxut Zumayev e Darek Zaluski sono giunti sani e salvi al Campo Base.

I quattro alpinisti, dopo quasi due mesi di tentativi, lunedì 23 agosto poco dopo le ore 18 hanno raggiunto la vetta del K2 lungo la difficile cresta nord, sono scesi immediatamente e mentre Kaltenbrunner e Zaluski erano riusciti a raggiungere Campo IV a circa 8000m, Pivtstov e Zumayev hanno trascorso la notte a 8300m nella tenda da bivacco, scendendo il mattino successivo.

La discesa è continuata durante tutto il giorno del 24 agosto e ieri mattina tutti e quattro hanno finalmente raggiunto il loro deposito materiale posto oltre i grossi crepacci del ghiacciaio, dove sono stati abbracciati e accompagnati da Ralf Dujmovits e da Tommy Heinrich, altro componente della spedizione. Assieme sono scesi al Campo Base cinese, da dove inizierà adesso il rientro in Europa.

Parlando con il marito via telefono satellitare, l’austriaca aveva spiegato quanto fosse felice per la cima e aveva sottolineato che per loro è stato un vero regalo poter stare, nonostante le difficili condizioni durante la salita, sulla cima tutti e quattro assieme. Un regalo, un momento unico, un sogno che si avvera per tutti e che finisce nel migliore dei modi.

I 14 8000m di Gerlinde Kaltenbrunner
2011
K2 8611m
2010 Mount Everest (8848m) – Tibet
2009 Lhotse – Nepal (8516m)
2008 Dhaulagiri I – Nepal (8167m)
2007 Broad Peak – Pakistan (8047m)
2006 Kangchendzönga – Nepal (8595m), parete SO)
2005 Gasherbrum II – Pakistan (8035 m, Cresta SO)
2005 Shisha Pangma – Tibet (8013m, parete sud)
2004 Gasherbrum I – Pakistan (8068 m, Couloir dei giapponesi)
2004 Annapurna I – Nepal (8091m)
2003 Nanga Parbat – Pakistan (8125m, Diamir)
2002 Manaslu – Nepal (8163m)
2001 Makalu – Nepal (8463m)
2000 Sisha Panama – Tibet (Central summit, 8008m)
1998 Cho Oyu – Nepal/Tibet (8201m)

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Omegna Street Boulder 2011, l’arrrampicata nel villaggio

Sabato 11 giugno 2011 si è svolta ad Omegna (Vb) sul Lago d’Orta l’Omegna Street Boulder gran contest di boulder sui “magnifici problemi cittadini”.

L’Omegna Street Boulder di sabato 11 giugno 2011 è stato molto più di un contest di arrampicata urbana. E’ stata una grande festa, come era immaginabile, ma soprattutto è stata la dimostrazione che l’arrampicata è un fenomeno sportivo consolidato senza più confini, tanto che persino nella provincia italiana, quella dei piccoli borghi come Omegna sul Lago d’Orta (VB), si sente pulsare il cuore del verticale in scarpette e magnesite.

I mondiali di Arco (TN) di questo luglio sono solo la punta di un iceberg sotto la quale preme una base sempre più consistente, fatta di appassionati di ogni età, di spontaneismo, di movimento, di feste e – udite udite – di pubblico che applaude. A Omegna più di un abitante si è visto spuntare sul davanzale delle finestre del primo piano qualche baldanzoso climber sorridente, e almeno 2000 persone, fra passanti occasionali a passeggio per il “sabato del villaggio” e curiosi venuti apposta, hanno riempito le vie.

Qua e là ragazzi e ragazze, con un’età media appena sotto i vent’anni ma anche qualche giovanissimo accompagnato dai genitori, hanno ghermito per tutto il pomeriggio colonne, archi di viottoli, cornicioni, davanzali, terrazze, rilievi millimetrici posti sulle mura portanti di abitazioni, negozi, banche, edifici pubblici. Ai loro piedi il popolo dei climber schierato in “gran parata” (passateci il gioco di parole) con le braccia alzate al cielo per assicurare i compagni: agli occhi dei profani poteva sembrare (massì dai, ammettiamolo, un po’ è anche così) una forma di adorazione per il Zarathustra-funambolo di turno.

I numeri di OSB 2011 sono presto fatti: 150 climber iscritti, alcuni veri e propri “beginners” della prima ora, 80 blocchi per scalare, 100 magliette “bruciate” in un batter d’occhio inserite nel “pacco gara” venduto a 10 euro il cui ricavato è andato all’Associazione per la donazione del midollo osseo, 2000 spettatori, 12 gli anni del più giovane scalatore, Torino, Milano, Novara, Pavia, Biella, Verbania le province di provenienza dei climbers.

C’era anche un oriundo ossolano – argentino, Lucas Iribarren, che alla fine sarebbe risultato il vincitore della sfida sul blocco più difficile se non avesse usato un appoggio non consentito. Così l’ha spuntata Stefano Ghisolfi, atleta della Coppa del Mondo boulder (che ha risolto la via al secondo tentativo). Fra le donne, dopo tre tentativi, ha avuto la meglio la torinese Federica Mingolla. Ma lo spirito di questi contest, si sa, non è quello della gara, tanto che per ore tutti hanno arrampicato liberi, senza tempo e senza patemi, con l’unico obiettivo di “risolvere” le difficoltà opposte dai blocchi.

Alla fine la festa è stata lunga e dura, il blocco più duro, con fiumi di birra e musica  dal vivo a lasciare di questo evento il ricordo indelebile dei ragazzi che, tra una pogata e l’altra, continuavano a liberare la scimmia ‘rampicans’ sulle travi distanziatrici delle colonne. L’assessore al Commercio e al Turismo del Comune di Omegna, Enzo Franza, uno dei pochi amministratori che ha subito creduto e sostenuto la manifestazione proposta da Alessandro Sollami & Co. per l’associazione Linea Verticale, guarda già avanti: “Ragazzi, potete cominciare a pensare all’edizione 2012. Noi ci saremo”. Insieme a loro la cordata (anche se qui le corde non si usano) della premiata ditta Cai Omegna – Street Boulder Italia.

Lorenzo Scandroglio

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Carpe diem, nuova via sull’Aiguille de Chatelet, Monte Bianco

Mauro Franceschini e Fabrizio Recchia lo scorso giugno hanno portato a termini “Carpe diem” (870m, TD), nuova via aperta in vari tentativi dal basso sulla parete Sud dell’Aiguille de Chatelet (Monte Bianco). Il report di Fabrizio Recchia.

Può capitare di rimanere affascinati da un qualcosa di bello, che ti riempie gli occhi di una curiosità appagabile solamente nel caso in cui cerchi di conquistarla, anche se poi in cuor tuo non credi che possa essere una conquista realizzabile, non importa, quello che conta è provarci e provare piacere anche per ogni breve momento passato a cercare di realizzare il tuo sogno.

E’ un po’ quello che è successo a me e a Mauro Franceschini quando in una giornata passata alla ricerca del sole, della bellezza dei luoghi, della salita su vie di arrampicata piacevoli, scendiamo lungo il sentiero per il Rif. Monzino e vediamo la parete sud dell’ Ag. De Chatelet ancora illuminata dal sole, che mette in evidenza delle bellissime placche e speroni di roccia. Eravamo andati a fare una via moderna sulle prime strutture rocciose che si incontrano risalendo il sentiero attrezzato per il Rif. Monzino in Val Veny, ma solo al ritorno venimmo colpiti dalla sud della Chatelet.

Non è proprio una big wall, ma i suoi dolci profili, le macchioline di verde e le belle placche grigie di granito ci scatenano subito la voglia di tentare ad aprire una via nuova in quella parete. Ed è così che timidamente nell’autunno scorso iniziamo a salire la parete, senza pretese, con il solo obiettivo di goderci il posto magnifico e vedere cosa si riuscirà a fare, disposti anche a tornare
indietro qualora ci accorgessimo che non era cosa. Tanto per giocare prima dell’inverno ci mettiamo in tasca 7 tiri di roccia splendida, difficoltà contenute e arriviamo circa a 100 m di un evidente pilastro che ci farà sognare tutta la stagione futura. “Sarebbe bello arrivare in vetta…” ma ancora troppe incognite non ci consentono di crederci: la continuità del pilastro con il resto della parete, una cengia erbosa ai 2/3 di essa, la qualità della
roccia nella parte finale della via.

Arriva la primavera e per fortuna anche il bel tempo verso Giugno, così si ritorna a quella settima sosta che tanto ci ha fatto pensare. Portammo avanti la via di altri 8 tiri arrivando sino oltre l’incognita della cengia erbosa visibile dal basso, dimostrandosi in effetti superabile con un tiro di 40 m senza troppi problemi e perfettamente integrato su una via con uno sviluppo tale. Solo ora si consolida l’idea che riusciremo a finirla in vetta con altri 3-4 tiri di corda su roccia ancora bella.

Alla fine di Giugno ripartiamo questa volta convinti di forzare l’uscita in vetta, così sarà dopo circa 11 ore di arrampicata e chiodatura, un’altra oretta per uscire dalla cresta sommitale e raggiungere il Rif. Monzino dove ci accolgono con una ospitalità senza eguali e cosa ancora più inaspettata la voce sulla nostra via si era già sparsa nell’ambiente delle guide di Courmayer.

Sono venuti fuori quindi 870 m di bella arrampicata su placche più o meno poggiate, di difficoltà non estrema, con una tratto di cresta sino in vetta alla Chatelet e discesa per la sua via normale. Viste le difficoltà contenute è comunque una via da non sottovalutare sia per la lunghezza sia perché rivolta ad arrampicatori con una certa mentalità alpinistica più che da vie “multipich”, malgrado la presenza degli spit su tutto l’itinerario possa “banalizzare la salita”.

In conclusione è stata una bella esperienza ricca di emozioni e di motivazioni se non altro perché partire da La Spezia e rientrare in giornata a casa dopo aver chiodato qualche tiro è sintomatico di una gran voglia e del piacere provato a fare una via del genere in un luogo magnifico. Proprio per questo aspetto della “toccata e fuga”, cercando di sfruttare al meglio il tempo libero dal lavoro, le condizioni meteo ecc ecc quale miglior nome alla via poteva essere dato se non Carpe
Diem?

A voi ora il piacere della ripetizione ed a noi l’onere di subire critiche o apprezzamenti, ma tutto questo fa parte del bellissimo gioco che è l’arrampicata esplorativa.

Fabrizio Recchia


SCHEDA:
Carpem Diem – Aiguille de Chatelet

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